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Vi è nei racconti di Valerio Ragazzini l'inquietante presenza di una vita che
si dissolve colpo su colpo. Uomini, cose,
ambienti conoscono una loro parabola obbligata, dallo sfacelo a un nuovo, più
cupo sfacelo. È il putridume dei corpi,
una dimensione che non ha nulla di filosofico. Heidegger – e il suo "vivere per
lamorte" – qui non c'entra nulla: non esiste
evoluzione, prospettiva, presa di coscienza che in qualche modo elevi il quadro
alla dimensione dello spirito. Nessuna
redenzione è possibile. Domina l'inverno, il freddo pungente, la caligine
intrisa di miasmi delle lande paludose, in cui si aggirano branchi di ragazzetti
malati che frugano nei rifiuti di chissà quale cataclisma dimenticato.
Oppure, all'estremo opposto, una siccità che non dà tregua, che sfinisce e
suscita
nuove superstizioni, feticci mostruosi a cui sacrificare offerte sacrileghe. Il
"Santo", emerso inaspettato da una torbiera,
potrebbe forse fare il miracolo, riportare la primavera, ma a quale prezzo? Non
c'è scampo. Tutto si chiude nell'angoscia.
La terra partorisce nuovi corpi, la terra se li riprende, o li lascia vagare
senza meta, Bno alla fine. Una metafora potente, che Ragazzini ha il merito di
proporre senza sconti, in una prosa secca e diretta. |
Il
Piccolo,
Il fantastico per raccontare un'umanità che si spegne, intervista a
Valerio Ragazzini.
Pomeriggi perduti,
Nota a "La veglia dei corpi" di Valerio Ragazzini, articolo di Michele
Nigro.
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